Disabilità e lavoro: disoccupazione 90%
In ogni notiziario possiamo notare come il problema per cui i politici si scaldano maggiormente, almeno a parole, sia quello relativo a disabilità e lavoro: tutti promettono miliardi di incentivi, giovani sistemati, madri tutelate, persone con esperienza alle quali viene “garantito” un futuro tranquillo in pensione. Aldilà della realizzazione o meno di queste promesse, ci si dimentica sempre di una categoria, le persone con disabilità.
Il lavoro dovrebbe essere un diritto
Ogni volta che ci si riferisce al disabile, ogni politico spende parole al miele, trasformandosi istantaneamente in un paladino della giustizia, solitamente armato di retorica e pietismo. Quando però si fanno presente le reali problematiche di vivere con un’invalidità dopo i 18 anni, come vivere una vita piena e professionalmente realizzante, si glissa abilmente l’argomento. Eh sì, perché una vita realizzata sotto il profilo della professione, può averla anche una persona con una disabilità. Tutte le disabilità sono differenti, ma garantire una vita degna dovrebbe essere alla base e se queste sono parole scontate, agire in questa direzione non lo è affatto per le istituzioni.
In Italia abbiamo tante associazioni, cooperative ed Onlus che si occupano di disabilità – tra cui Altravoce naturalmente – che organizzano varie attività, ma che si trovano a fare i conti con leggi e fondi mancanti, con un welfare che traballa anche quando si rimane sul territorio di appartenenza. Il problema nel Bel Paese è la scarsa apertura della politica nei confronti delle persone con bisogni speciali, con genitori e operatori del sociale che si ritrovano a districarsi in una giungla piena di insidie per poter dare lavoro a una persona con disabilità. E che sarà mai? Non dovrebbe essere un diritto?
I disabili non sono cittadini di “serie B”.
Anche chi ha una disabilità mentale deve avere un’indipendenza che al momento viene castrata da politiche vetuste e assolutamente fuori dai tempi, soprattutto dal punto di vista dell’inclusione: basti pensare che la legge di riferimento risale al 1999, nonostante un tentativo di revisione nel 2015, che intendeva aumentare le assunzioni mettendo l’obbligo ad alcune aziende.
Disabilità, disoccupazione al 90%
E in Italia restiamo indietro, con l’80-90% delle persone con disabilità che si ritrovano attualmente disoccupate: molte di loro stanno cercando una professione ma non vengono minimamente prese in considerazione.
Esempi eccezionali d’inclusione
L’Orto Felice
Per fortuna in quest’oscurità ci sono delle luci che danno per lo meno speranza. Una di queste è l’Orto Felice, Cooperativa Sociale toscana fondata nel 2013, che dà lavoro a persone con disabilità, aiutate da pensionati volontari che spiegano loro i segreti dell’agricoltura. Un esempio virtuoso, che funziona molto bene grazie anche all’Osteria del Grigio di Borgo San Felice (provincia di Siena) che ha avviato una collaborazione “fruttuosa”, con reciproca soddisfazione.
Il gusto dei prodotti dell’Orto Felice è migliore perché a chilometro zero, si sente la freschezza del prodotto, ed è un punto di forza del nostro locale
specifica compiaciuto Fabrizio Borracino, capo chef dell’Osteria, “spesso portiamo gli ospiti a visitare l’orto, presentando loro il progetto – e capita che si raccolgano da loro la verdura che poi consumeranno a tavola” continua poi Borracino.
“Quello che il ristorante non utilizza lo vendiamo nei mercatini” afferma Sonia Belluardo, educatrice in questo progetto, “abbiamo dei clienti fissi che comprano la verdura da noi dalle bancarelle che mettiamo nei mercati locali”.
Ma non è solo verdura l’Orto Felice: infatti, ci sono anche un pollaio e si è iniziata da poco l’attività di apicoltura che si spera possa portare alla produzione del miele.
Sartorie Leggere
Un’altra storia meravigliosa di inclusione lavorativa arriva da Bologna, dove Barbara Montanari, madre di una ragazza con sindrome di Down, quando è stata licenziata a causa dei permessi per la legge 104 dall’azienda in cui lavorava, ha deciso di fondare “Sartorie Leggere“, un progetto inclusivo in cui ragazze con disabilità, mamme disoccupate e sarte volontarie in pensione collaborano per un unico scopo: abbattere le barriere che ancora oggi ci sono nei confronti di queste tematiche.
Elena, scelta perché competente
Elena Rasia, social media manager dell’impresa, racconta di essere stata a parecchi laboratori occupazionali per persone disabili, ma di non essere soddisfatta per il modo in cui le venivano presentati i vari mestieri. Citando le sue parole, sta “vivendo il suo sogno, ossia occuparsi di comunicazione per un’azienda”. E’ inoltre legittimamente convinta che Barbara l’abbia scelta non perché in carrozzina, ma per le sue competenze: un’apertura mentale che dovrebbe essere la normalità ma purtroppo resta un’eccezione.
Inclusione come modo di fare
“Tutto quello che facciamo deve essere inclusivo” spiega la Montanari, che afferma che le donne con difficoltà motoria o di vestizione devono trovare nelle collezioni di Sartorie Leggere un modo di vestirsi che possa venire incontro alle più svariate esigenze. “I materiali sono di assoluta qualità, perché sono le eccedenze di produzione di marchi molto prestigiosi” continua Barbara, che espone la filosofia della sua impresa:
Purtroppo il numero di posti di lavoro per le persone con disabilità è ancora drammaticamente basso – e per noi dare occupazione significa dare un mestiere che possa permetterti in futuro di pagare un affitto e quindi di vivere in modo indipendente e lontano dalla famiglia.
La figlia Sara, oltre ad “avere la passione per la moda”, come dichiara lei stessa, funge anche da ispirazione per la collezione principale, in cui vengono cucite le sue poesie sui capi confezionati. “Io le poesie le scrivo con il cuore e con tutta me stessa, a volte capita che mi venga l’ispirazione, quindi prendo un foglio e scrivo quello che mi viene in mente”. Testimonial d’eccezione di questa collezione, la pop band bolognese “Lo Stato Sociale“, che ha posato con questi abiti per farli conoscere a più persone possibili.
Il target di Barbara, mamma coraggiosa e intraprendente, non si limita alla moda: infatti, vuole arrivare al più presto ad intervenire su altri settori, come l’artigianato, in cui c’è bisogno di inclusione lavorativa. Un segnale forte ad un Paese, da questo punto di vista, debole.
Ma si sà: quando l’istituzione non arriva, ecco che si smuovono le Persone.