Le persone con disabilità mentale che bisogno hanno di lavorare?
Vogliamo iniziare con una provocazione. Se già percepiscono una pensione di invalidità, perché una persona con disabilità mentale dovrebbe lavorare?
Innanzitutto perché il lavoro non è solo un dovere, ma anche e soprattutto un diritto per ogni persona – anche chi non ha una disabilità – di sentirsi importanti. A volte avere un lavoro è un privilegio. Ed è questo il caso per chi una disabilità mentale.
Poi c’è una parte di persone, senza disabilità, che si lamenta del proprio lavoro: vuoi perché non piace quell’occupazione, vuoi perché alle volte ci si sente senza energie. Il risultato è che si invidia quelli che, “beati loro”, possono restare a casa, con un pensiero quasi adolescenziale del lavoro.
Lavorare per sentirsi vivi
Nel nostro blog abbiamo già parlato del delicato tema di disabilità e disoccupazione, con un tasso di disoccupazione superiore al 90% e non perché non ci siano persone disabili in grado di avere un occupazione ma perché la nostra società – dal cittadino comune, al politico più alto in carica – non crea le condizioni affinché questo avvenga.
Tante volte chi è in condizione di disabilità non riesce a trovare datori di lavoro sufficientemente pazienti o sensibili, che riescano a vedere oltre il proprio naso e quindi a far leva su quel potenziale che ogni persona ha. Chi più, chi meno.
Quindi una persona con disabilità mentale – pensiamo ad esempio a una ragazza con cerebro lesione o a un ragazzo con autismo – non deve lavorare per guadagnarsi da vivere, poiché la sua condizione non le consentirebbe una cosa del genere; dovrebbe poter lavorare per sentirsi viva. E questo cambia tutte le carte in tavola.
La grave situazione occupazionale per chi ha una disabilità è dettata da alcuni fattori molto concreti:
Mancanza di Pazienza
1) MANCANZA DI PAZIENZA E FLESSIBILITA’: tante volte chi è in condizione di disabilità non riesce a trovare datori di lavoro sufficientemente pazienti o sensibili, che riescano a vedere oltre il proprio naso e quindi a far leva su quel potenziale che ogni persona possiede. Chi più, chi meno.
Certo, inserire in un’azienda chi ha una disabilità mentale, significa mettere quella persona fragile nelle condizioni di trovare la propria zona di comfort in modo protetto ma ugualmente efficace (per la missione dell’azienda). Nel concreto, quella ragazza con difficoltà motorie e intellettive, avrà bisogno di qualcuno che le sia di supporto – nell’esecuzione di quel lavoro, da una parte – e nella percezione di sé stessa nel contesto aziendale. Ci vuole pazienza da parte dell’imprenditore, e capire che mettere un proprio dipendente ad affiancare quella ragazza non è solo una perdita di fatturato (perché il dipendente potrebbe fare altro e in modo più produttivo) ma è innanzitutto un guadagno di umanità. E le più grandi opere imprenditoriali sono nate proprio da soddisfare un bisogno. Umano.
Mancanza di Inventiva
2) MANCANZA DI INVENTIVA: si pensa sempre che una persona con disabilità grave possa fare solo cose semplici in contesti semplici. E questo pensiero, qui ad Altravoce, abbiamo dimostrato che è errato. I nostri ragazzi con gravi disabilità, dopo opportuni percorsi, riescono a entrare in Orchestra Sinfonica Inclusiva suonando insieme ai musicisti del conservatorio e musicisti professionisti perché chi ha una disabilità può partecipare a contesti complessi (e quindi interessanti) facendo cose semplici. Il che è ben diverso.
Dunque chi può dare lavoro, vede la persona disabile capace di fare solo cose meccaniche, da operaio di fabbrica, ma con limitazioni sulle responsabilità: sono pochi gli imprenditori che si fiderebbero nel dare una mansione che, se non portata a termine, blocchi l’intero sistema produttivo di quell’area della propria azienda. Il risultato è un pensiero del tipo “se non posso affidare questo ruolo a quel ragazzo disabile allora quel ragazzo non può lavorare”. E se invece, con capacità di inventiva, l’imprenditore potesse comunque aumentare il valore aggiunto della propria azienda riscoprendo quel ragazzo autistico come valore aggiunto?
Mancanza di considerazione
3) MANCANZA DI CONSIDERAZIONE: proprio a causa di quella condizione di estrema fragilità, chi ha una disabilità mentale viene visto come non capace da potenziali colleghi e imprenditori e dunque di nessun valore per il cliente finale.
Ma è davvero così?
Il valore di una persona disabile, nel lavoro
Partendo dal presupposto che il valore di una persona non dipende da ciò che sa fare, e considerando che – in questo discorso – per “valore” (lavorativo) intendiamo “ciò che un lavoratore fa per la propria azienda” e quindi per un potenziale cliente beneficiario, possiamo metterci nell’ottica di ribaltare completamente la visione del lavoro, in Italia ancora troppo “anni ’70”. Dovremmo capire che usare due pesi e due misure” è fondamentale per aiutare chi ha bisogno di noi.
Siamo noi, senza disabilità e con la possibilità di aiutare l’altro, a dover scoprire il valore (lavorativo) di quel ragazzo disabile. Ma per farlo dobbiamo metterci in gioco e fargli sperimentare più contesti. Tu genitore, se ci stai leggendo, saresti disposto a far vivere una settimana lavorativa incredibilmente variegata a tuo figlio, proprio per dare valore alle sue potenzialità nonostante la semplicità che gli appartiene?
E tu imprenditore, saresti capace di lasciare quello spazio adeguato a quel ragazzo fragile, per quelle ore a settimana, di modo che lui, all’interno del tuo progetto di impresa, possa esserti d’aiuto come lavoratore?
Oltre i pregiudizi
Ma come percepisce il mondo – lavorativo e non – una persona con una disabilità?
A spiegare questo ci pensa il cortometraggio “OLTRE – Oltre il pregiudizio”, prodotto quest’anno grazie al progetto JobLab – attivo da un paio d’anni – e diretto da Ari Takahashi. Ecco di seguito il video.
Incredibile la quantità di spunti che questo corto offre, in soli 10 minuti.
Partiamo dall’argomento sicuramente più “antico”: le barriere architettoniche.
Tante persone con disabilità, che si muovono su una sedia a rotelle, sono spesso costrette a trovare percorsi alternativi per lo spostamento in città, partendo dalla frequente mancanza di rampe accessibili a tutti. Il fatto che la maggior parte della popolazione riesca a deambulare non dovrebbe portarci a dimenticare che esistono condizioni differenti da quella più usuale.
O peggio, ci sono volte in cui esistono rampe che permetterebbero di scendere da un marciapiede, ma chi è disabile non può comunque accedervi per una barriera ancora più diffusa: quella di mancanza sensibilità.
Un’auto parcheggiata a sbalzo tra la rampa e il marciapiede, perché “tanto per 5 minuti”, può risultare davvero un sopruso e un’umiliazione per chi è costretto ad utilizzare quella piccola discesa.
Rivoluzione mentale
Quindi proprio in merito alle barriere mentali, come può una persona con disabilità sperare di lavorare, quando è circondata da chi è colmo di pregiudizi?
“Eh ma ho tanto lavoro da fare, come posso aiutare “quello lì”?”
“Come si può essere produttivi quando lavorano i disabili?”
Ma c’è di peggio.
“Poverini, perchè dannarsi quando potrebbero rimanere a casa e sarebbe tutto più semplice?”
Per chi sarebbe più semplice? Per la persona in questione o per te? Dà per caso fastidio vedere un individuo che, nonostante i vari svantaggi della sua condizione, si realizza?
Riconosciamoci nel protagonista
Eppure quando guardiamo un film (ad esempio Forrest Gump) tutti ci riconosciamo nel protagonista perché proviamo empatia, ovvero ci sentiamo come lui: fragili o potenzialmente tali.
Ma quando, in questa vita, ci troviamo dall’altra parte (quella dei privilegiati perché senza disabilità) come restituiamo questa fortuna?
Con chiusura?
Finta empatia?
Frasi tipo: “Guarda che io ho tanti amici disabili e mi spiace per loro, ma..”?
Ogni persona in questo mondo ha esigenze, passioni e ritmi diversi rispetto ad un’altra. Che sia “disabile” o meno.
Quindi mettiamoci di impegno tutti insieme: permettiamo anche a chi ha una disabilità mentale di lavorare.
Non concentriamoci sullo “svantaggio visibile”.Concentriamoci sul potenziale possibile.
C’è chi va oltre: la serra sarda
Fortunatamente c’è chi già lo fa.
A Macomer, in Sardegna, è stata aperta una serra in cui persone con disabilità potranno lavorare, dimostrando tutto il proprio valore già acquisito e potenziale.
Tutto ciò è stato possibile grazie al locale Rotary Club, che ne ha finanziato la costruzione. Il tutto verrà gestito dalla cooperativa sociale “Progetto H”, che formerà dodici giovani con disabilità alle varie mansioni necessarie alla manutenzione dell’attività.
L’opportunità è ghiotta: il tipo di agricoltura che si pratica è altamente replicabile e all’avanguardia – e i soci della struttura offrono corsi gratuiti per mostrare ad altre realtà questo mondo straordinario.
L’entusiasmo con cui è stata accolta quest’idea è indicativo del cambio graduale di mentalità alla quale è possibile dare forma.
La questione delle pari opportunità, nel tema disabilità e possibilità di lavorare, non è politica. Deve essere realtà perché è solo fortuna essere nati da questa parte del tavolo.
E, lo sappiamo, il lavoro nobilita l’uomo. Come c’era scritto su quel muro di Milano.