Aktion T4: Quando la vita di chi è fragile, non aveva valore
1945, Settantasei anni fa, la durata media di una vita umana. Un periodo relativamente lungo in sé, ma da un certo punto di vista è corto, troppo corto. Tanto da non permettere a certe ferite di cicatrizzarsi a dovere, tanto da provocare brividi, orrore e sgomento di fronte ad eventi accaduti risalenti a quel periodo. Il tutto sotto una patina di agghiacciante noncuranza e accondiscendenza, ma non dei “cattivi”: parlo della gente comune, di me e di te. “Vite indegne d’essere vissute”: molta, troppa gente ne era convinta in quegli anni. Un folle e insensato gioco in cui ognuno può sentirsi Dio, decidendo chi può e chi non può essere libero, camminare, respirare, vivere.
Facciamo una precisazione: tutto ciò di cui parlerò si basa sulla scienza, o per lo meno così era considerata l’eugenetica, ad inizio Novecento.
Galton e l’Eugenetica
L’eugenetica è una scienza nata a fine Ottocento, ma la sua pratica è iniziata molto prima. In sostanza, l’idea di base è la possibilità di migliorare il genoma umano, facendo a meno di tutti coloro che soffrono di patologie genetiche ereditarie. Un esempio famoso è quello di Sparta, in cui i genitori erano autorizzati, anzi, incoraggiati dallo Stato ad abbandonare – o peggio – i figli malati.
Questa disciplina assume un tono ufficiale quando Sir Francis Galton, cugino di Darwin, entra in scena. Fondamentalmente, il suo lavoro è stato pervertire le idee del cugino, trasferendo “la legge del più forte” alla società umana.
Nonostante gli screzi con Darwin, Galton suggerisce l’intervento delle istituzioni nell'”incrocio selettivo” degli individui maggiormente forti e sani, per migliorare il retaggio della specie umana.
Il problema principale di questa teoria è che qualcuno ha effettivamente deciso di intervenire in questo modo. Un governo tedesco degli anni Trenta, che penso non ci sia bisogno di nominare, ha applicato nella vita reale ciò che Galton sosteneva.
Patologie come la cecità, l’epilessia, la schizofrenia e l’alcolismo, sono state trattate come ereditarie – e quindi minacciose alla purezza del sangue.
Quindi ciò a cosa ha portato?
Offire una speranza a chi prima non ne aveva
In questo titolo ho deciso di citare Marco Paolini, che in un interessante documentario di due ore spiega esaustivamente ciò di cui voglio parlare.
“Vite indegne d’essere vissute”.
Parole che fanno gelare il sangue.
Nella Germania degli anni Trenta, prima della Seconda Guerra Mondiale, l’eugenetica la fa da padrona. Viene insegnata a scuola, propagandata da manifesti fuorvianti, elevata a unico credo logico. Il motivo è semplice: la ricerca scientifica è talmente avanzata rispetto al resto d’Europa che è possibile anche inculcare alla popolazione l’idea che ormai si è pronti a creare l’essere umano perfetto. Non sarà più necessario vedere in giro delle persone “difettose”. In Germania, la disabilità può essere sorpassata nel peggiore dei modi.
Nonostante esistesse già la legge sulla sterilizzazione di queste persone “impure”, nel 1938 accade un fatto. Un contadino a cui è nato un figlio con alcune patologie cognitive, scrive al governo centrale, chiedendo cosa fare.
Questo è il casus belli, la giustificazione di anni di propaganda eugenetica.
Da questo momento in poi, lo Stato è giustificato a mettere in atto la sua Azione, che ha come obiettivo primario la “pulizia” del sangue tedesco.
La legittimazione di tutto questo è tale che le persone malate non venissero prelevate con la forza da militari, ma dagli stessi medici di famiglia. E veniva eseguito il tutto con la falsa promessa di una cura all’incurabile, seppur rischiosa per l’individuo. In questo modo, la famiglia non si faceva domande – e il perverso e aberrante ideale poteva applicarsi con una libertà e un’accondiscendenza a posteriori incomprensibile.
Ma bisogna anche contestualizzare il tutto.
Sei un genitore disperato, in una situazione economica impossibile: in un momento di debolezza si presenta il tuo dottore alla porta. Ti dice “è possibile curare la disabilità di tuo figlio, fidati di me”. La fiducia è totale, quante volte, quel dottore, ti ha aiutato…
Ecco perché questo, secondo me, è una tragedia ancor più clamorosa. Non venivano militari a prelevare persone in maniera coatta, ma dottori cortesi e competenti. Impossibile non fidarsi. E così tutto si metteva in moto.
Aktion T4, i “trattamenti”
Prima i neonati. Poi i bambini, gli adolescenti, le persone con disturbi mentali. Tra le duecentomila e le trecentomila anime, volate in cielo metaforicamente, ma in larga parte anche materialmente, dai camini. Dopo essere passate da un’iniezione, prima della quale magari si veniva rassicurati. Mica si può avere paura degli aghi, dai. O magari, passate da una camera in cui non si entrava da soli, ma con tanti amici. Poi vabbè, capita di avere sonno. Ci sta chiudere gli occhi un attimo, coricandosi a terra, tanto il dottore sveglierà tutti. Giusto?
Ma cosa sarebbe questo T4? Altri non è che un indirizzo, come se in Italia ci fosse stato “Azione Via Rossi”, per dire. Questo edificio di Berlino è stato uno dei primi siti in cui queste “vite indegne d’essere vissute” andavano a terminare. In cui si testava la produttività di uno Stato, finalmente privo di pesi per gli stanchi portafogli tedeschi. In cui la scienza medica veniva distorta nell’esatta nemesi della propria stessa natura.
Ma tutto questo, è un’ipotesi. Non ci sono numeri uficiali, ma solo stime di ciò che è successo. Una disgrazia di portata immensa, che inizialmente veniva nascosta dal governo centrale e portata avanti in luoghi isolati.
Pian piano però, ci si abitua. Strano da dire, orribile da pensare, ma si sono abituati. La ciminiera del manicomio di città fuma? Normale, le faccio pure una foto (in rete ci sono varie foto, che non voglio allegare per pietà).
Incredibilmente, tutto questo entra nella normalità, la guerra fa dimenticare anche questi orrori. E no, come dicevo all’inizio, non sono i cattivi ad effettuare tutto questo. Ma coloro che dovrebbero difendere chi è più fragile, come il vicino di casa o i dottori, o le suore.
Emblematico il caso di una suora, due settimane dopo l’occupazione della Germania da parte degli alleati. I trattamenti andavano avanti senza sosta, ma non come azione di guerra, bensì di pietà.
Quando gli americani lo scoprono, interrogano inorriditi questa donna di Chiesa, che molto tranquillamente descrisse la sua mansione, in quell’ospedale a pochi passi dalla loro base operativa.
E’ normale no?
Però non si sa mai cosa pensino questi stranieri, quindi la domanda più importante da fare al soldato resta una.
“Mi succederà qualcosa?”
Magari non le sarà successo nulla, magari sì. E’ però fondamentale ricordare. Dopo settantasei anni, il mondo è cambiato, ma siamo sempre noi gli abitanti.
E’ importantissimo che in questo 27 gennaio pensiamo a ciò che è successo riflettendoci, senza la presunzione di chi afferma – con eccessiva certezza – che “non succederà mai più”.
Siamo umani, esseri imperfetti e fallibili, ma anche capaci di cose straordinarie. Sta a noi decidere che strada percorrere, con l’obiettivo che tutte le vite abbiano la dignità di poter essere vissute, al di là di ciò che la natura ci dà.