Il nome delle note
Molto probabilmente a tutti, anche ai non musicisti, è capitato più volte di sentire i nomi delle note: do, re, mi, fa, sol, la, si.
Una nota innanzitutto è un segno grafico che serve rappresentare un suono. Nella musica moderna occidentale, le note sono scritte sul pentagramma in modo da indicare l’altezza e la durata del suono.
Questa è in realtà un’introduzione relativamente recente. Le note, infatti, non sono sempre state scritte con l’ausilio del pentagramma, non hanno sempre avuto i nomi attuali e la forma stessa è cambiata nel corso dei secoli, così come ciò che essa indicava.
Prima di queste diversi sistemi per scrivere musica, uno dei problemi più strettamente connessi all’esecuzione musicale era quello di trovare un sistema comune per permettere di fissare per iscritto una melodia.
In sua mancanza, infatti, la musica doveva essere tramandata a memoria. Questo comportava:
- il rischio di perdere inevitabilmente parti del patrimonio musicale
- non assicurava che un medesimo brano venisse sempre eseguito nello stesso modo.
La musica è stata tramandata per secoli oralmente. Il patrimonio musicale era custodito dal maestro che lo tramandava all’allievo. Quest’ultimo vedeva le posizioni da tenere sullo strumento e ascoltava melodie che avrebbe poi ripetuto per imitazione.
Scopriamo lo sviluppo di questa pratica!
Note nell’antichità: Il Sistema Notazionale Greco
Uno tra i primi sistemi notazionali conosciuti e decifrabili fu quello alfabetico. Alcune civiltà antiche lo usarono, come quella cinese e indiana, nonché gli Antichi Greci nella civiltà ellenica.
Esso è giunto fino a noi grazie a documenti scritti, spesso frammentari quali epigrafi, trattati teorici, manoscritti medievali e, soprattutto, papiri egiziani.
I papiri sono i documenti più rilevanti ma purtroppo tardi. Questo significa che furono redatti postumi rispetto alle nozioni tramandate. Non riportano inoltre la data, come è uso fare nei testi attuali. A causa di ciò non conosciamo l’esatta datazione, ma ciò che è certo è che comparvero ben due distinti sistemi di notazione melodica.
- uno riservato esclusivamente alla musica strumentale, all’incirca nel V secolo a.C:
- un sistema per la notazione vocale, databile IV secolo a.C circa, più recente del primo
La notazione strumentale si serviva delle lettere di un alfabeto arcaico, che potevano assumere tre posizioni (dritta, rovesciata e orizzontale) per indicare le note nelle loro possibili alterazioni. Il sistema vocale utilizzava invece una lettera dell’alfabeto ionico per ciascun suono, senza distinzioni di posizione.
Questo sistema, tuttavia, è estraneo al concetto di altezza assoluta della nota in uso attualmente. Le trascrizioni della notazione greca sono sulla base delle regole della pratica musicale che, all’epoca, era destinata ai soli uomini. Sulla base di questo, le trascrizioni fanno riferimento ad un ambito pari alla voce media maschile: un registro di baritono-tenore.
I romani, successivamente, adottarono quest’ultimo sistema, ma sostituirono le lettere greche con le prime 15 dell’alfabeto latino.
Dopo la caduta dell’impero romano, anche la notazione alfabetica seguì le sue sorti, rimanendo oscura e incerta per secoli. Nel contempo, sorgevano nuove notazioni orientali e, poi, la notazione neumatica in Occidente.
L’Importanza Del Cristianesimo
Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta della notazione in seguito alla caduta dell’Impero Romano e alla conversione dell’Occidente al Cristianesimo. Questo fatto fu di fondamentale importanza non solo per la Storia, la Religione e la vita culturale in senso generico ma anche per lo sviluppo della Musica.
In questo periodo, infatti, la Musica considerata degna di essere eseguita era quella Sacra, indissolubilmente legata al Cristianesimo e alle sue vicende.
Inizialmente il canto cristiano d’Occidente era tramandato a memoria, dal maestro all’allievo, da un cantore all’altro. Poche composizioni erano nuove: il cantore non poteva abbandonarsi a quella che oggi chiamiamo “ispirazione”, bensì doveva sottostare a una serie di rigide formule melodiche che, variamente combinate e modificate, andavano a costituire le basi della melodia. Ogni composizione era ben strutturata con:
- cellule introduttive
- parti mediane
- cadenze finali
La Notazione Neumatica
In circostanze a noi non totalmente note nacque un sistema per scrivere i canti, necessario per un duplice motivo. Da un lato vi era la difficoltà di ricordare mnemonicamente il repertorio, dall’altra la necessità di fissarlo in un modo univoco, senza più possibilità di variarlo.
Questo processo si pensa iniziò intorno all’800 d.C. in area Franca. Questa notazione si basava sui simboli grafici degli accenti acuto e grave del linguaggio parlato e sui segni di punteggiatura. Questi simboli vengono chiamati neumi. I primi segni erano molto semplici e generici: un accento acuto ( / ) dava l’idea di una melodia ascendente, un accento grave ( \ ) dava l’idea di una melodia discendente. Si tratta di una notazione imprecisa, utile solamente a chi già conosceva la melodia.
I neumi in un primo tempo erano collocati direttamente sopra le sillabe del testo da cantare (come visibile nell’immagine). Solo più tardi fu introdotta, come punto di riferimento, una linea che stabiliva la posizione del Fa. Si aggiunse successivamente una seconda linea per il Do.
Davanti alle linee del Do e del Fa furono collocate delle chiavi, espresse dalle lettere C e F, antenate delle chiavi attualmente utilizzate.
La notazione neumatica ebbe uno sviluppo molto differenziato nei vari paesi europei e l’unificazione delle diverse scritture neumatiche avvenne solo con la notazione quadrata, nel XIII secolo circa.
Le Note Come Le Conosciamo
I nomi delle note come li conosciamo noi risalgono all’undicesimo secolo e corrispondono alle sillabe iniziali dei primi sei versetti di un inno liturgico in onore a San Giovanni Battista:
UT queant laxis / REsonare fibris / MIra gestorum / FAmuli tuorum / SOLve polluti / LAbii reatum, Sancte Iohannes
Tradotta in italiano con
“Affinché i tuoi servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato, o santo Giovanni, dalle loro labbra indegne”.
Questa fu opera di Guido D’Arezzo (992-1050), monaco di Pomposa. Anche questa innovazione nacque come espediente per favorire la memorizzazione delle diverse intonazioni esatte delle sei note dell’esacordo, la scala di 6 note utilizzata all’epoca. L’uso di queste sillabe, che vennero presto chiamate “guidoniane” permetteva agli scolari ed ai cantori un più facile apprendimento della musica.
Ogni verso dell’inno iniziava infatti su una nota più alta di un tono rispetto a quella precedente. Venne così fissata una prima scala, chiamata “esacordo naturale”.
Il “si” fu introdotto solo nel 1482 da Bartolomeo Remis de Pareja, come settima nota aggiunta alla primitiva successione esacordale.
Il passaggio di denominazione da “ut” a “do” in Italia si deve allo studioso Giovan Battista Doni che la sostituì con la prima sillaba del suo cognome. La sillaba Ut non scomparve tuttavia completamente ma continuò e continua a venire utilizzata in Francia e nei paesi di lingua francese.