Abilismo: Esiste ancora nella nostra società?
Il termine “abilismo” connota la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità, parente stretta del sessismo, dell’omofobia, del razzismo e di ogni altra discriminazione sociale. Il termine deriva da “ableism”, sviluppato nel contesto anglo-americano, per riferirsi all’abilità – fisica o mentale – come norma e unica condizione accettata.
Un problema molto sentito dagli attivisti disabili è che la disabilità è stata a lungo vista come una questione puramente medica. Una condizione tragica e sfortunata. Senza molte possibilità, degna di compassione, da curare, e quindi suscettibile di essere eliminata. La cultura si è evoluta faticosamente dai tempi dei freak show – intrattenimento morboso per i non disabili – o dai giorni in cui le disabilità venivano attribuite ai peccati della famiglia e i figli “paralitici” venivano tenuti nascosti in casa.
Ma alcune tracce del concetto persistono oggi: nei talk show strappalacrime o nelle decisioni di marketing delle maratone televisive. Non più freak show, ma c’è l’inspiration porn: articoli di giornale, meme di Facebook, storie strazianti in cui persone disabili o gravemente malate sono ritratte come modelli coraggiosi semplicemente a causa della loro disabilità. E, per coloro che non lo sono, le usano come esempi motivazionali. Le persone con disabilità oggi potrebbero non essere più segregate a casa, ma spesso non sono ancora in grado di uscire quando vogliono – o ovunque vogliano andare – a causa della mancanza di servizi e accessibilità.
Un problema strutturale della nostra società
Oggi l’abilismo si esprime in tanti modi: il discorso di Beppe Grillo che denigrava le persone con autismo, l’autorizzazione per costruire istituti in Piemonte – che favorirono l’emarginazione contro la Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità- , lo slogan di Fondazione Sacra Famiglia, dove si fa capire come deleteria la vita nella propria casa per pubblicizzare un’edificio residenziale per persone con disabilità. A questi si risponde attraverso l’esposizione mediatica o cause legali, come i casi intentati da alcuni attivisti disabili attraverso l’Associazione Luca Coscioni e vinta contro Flixbus, che non trasposta persone in carrozzina. Ma il modo in cui questi eventi vengono riportati dai media spesso non sottolinea a sufficienza che fanno parte dei problemi strutturali della nostra società. Parliamo di “apatia”, “superficialità”, “discriminazione” in modo generico. Perché nel discorso pubblico manca un termine preciso per definire questo fenomeno: abilismo, appunto.
I livelli di Abilismo
Come tutte le discriminazioni strutturali, l’abilismo si sviluppa su più livelli. Possiamo pensarla come una piramide. Il cui fondo è un fenomeno di entità minore, dominato dall’ignoranza, dal paternalismo e dall’incapacità di trascendere gli stereotipi radicati nella nostra cultura. Trattandosi di un crescendo, è importante riconoscere e combattere anche atteggiamenti apparentemente innocui. Perché sono solo l’inizio di un modo di pensare che può avere conseguenze gravi.
L’apatia è il livello più basso della piramide della discriminazione. Un esempio è non confutare le battute aboliste. Espressioni come “sei un Down”, “sei un mongolo”, “sei un handicappato” di solito sono automaticamente giustificate come insulti ben intenzionati. Tuttavia, se la nostra lingua considera l’essere paragonati a persone con disabilità un insulto, significa che c’è un problema strutturale.
Il gradino successivo all’apatia è la minimizzazione. Ad esempio, nei convegni a tema disabilità non è raro che i relatori siano per lo più non disabili: si tratta solitamente di medici, operatori e paramedici del settore. Le persone disabili non hanno mai avuto un posto di rilievo. A non lasciare spazio alla voce dei diretti interessati è abilismo. Un altro esempio di minimizzazione è giustificare la natura discriminatoria della situazione: affermando che le intenzioni delle persone “discriminanti” sono buone. Magari consigliando paternalisticamente a una persona disabile di “apprezzare comunque le intenzioni”, annullando i suoi sentimenti feriti.
Al livello più alto troviamo l’incitamento alla violenza. Come l’eugenetica che ebbe origine nel XIX secolo. Dichiarazioni che svalutano la vita delle persone con disabilità incitano allo stigma, alla discriminazione e alla violenza contro coloro che hanno questa condizione.
Possiamo amplificare le voci dei diretti interessati
Sfortunatamente, l’abilismo è strutturale e normalizzato, rendendo difficile definire e categorizzare la discriminazione, e quindi combatterla, dato che il termine è poco conosciuto anche negli ambienti della disabilità e della giustizia sociale. Alcuni passi importanti nell’affrontare l’abilismo sono guardare alla disabilità attraverso una lente sociopolitica, affrontare le discussioni sull’abilismo insieme ad altre discriminazioni, amplificare il più possibile le voci delle persone direttamente colpite e cercare di decostruire e analizzare ciò che abbiamo imparato sulla disabilità mentre viviamo in una cultura abilista.