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“La vita da grandi”: il film che dà voce ai fratelli invisibili

Immagina di tornare nella tua città d’origine, richiamato all’improvviso da una telefonata della mamma.
Hai una vita avviata altrove, una carriera, un partner, eppure quella voce al telefono ti riporta in un batter d’occhio a casa, dove ti attende tuo fratello. Solo che tuo fratello non è come gli altri.
Ha una diagnosi di autismo, sogna di diventare una star del rap, e tu – volente o nolente – sei diventato il suo punto di riferimento.
È questo il cuore tenero e pulsante de La vita da grandi, opera prima di Greta Scarano, e fidati: è un film che lascia il segno.

Un esordio che spacca: quando il cinema nasce da una storia vera

La vita da grandi non nasce in una stanza di scrittura, ma sul web. Anzi, nasce sui social.
Dietro il film c’è la vera storia di Damiano e Margherita Tercon – i “Terconauti” – fratelli diventati virali raccontando con autenticità, ironia e cuore la loro vita.
Damiano è autistico,
Margherita è la sorella che lo accompagna e supporta.
Insieme hanno conquistato migliaia di follower su YouTube, TikTok e Instagram.
Il loro racconto ha preso forma prima in un libro, Mia sorella mi rompe le balle, e poi, grazie all’intuizione di Greta Scarano, è diventato un film.
Ed è qui che inizia la magia.

Il punto di vista “invisibile”: i siblings

Greta Scarano ha voluto raccontare una storia nuova, o meglio: una storia che c’era già, ma che nessuno si era preso la briga di guardare da vicino. Quella dei siblings, termine inglese che indica i fratelli e le sorelle di persone con disabilità.
Una categoria silenziosa, spesso dimenticata, che però vive una condizione complessa e formativa.
Sono quelli che crescono un po’ prima degli altri, che imparano ad adattarsi, che mettono spesso da parte i propri bisogni per lasciare spazio a chi, nella famiglia, ha più urgenza.
Sono i fratelli invisibili.
Nel film, Irene (interpretata da Matilda De Angelis) è esattamente questo: una giovane donna che ha lasciato Rimini per Roma, che ha tentato di costruirsi una vita indipendente, ma che viene risucchiata nella realtà familiare quando la madre la chiama e le chiede di occuparsi di Omar (uno strepitoso Yuri Tuci), suo fratello autistico.

Disabilità e normalità: un equilibrio (im)possibile

La vita da grandi ci accompagna nel viaggio emotivo e pratico di Irene e Omar, due adulti che devono reimparare a conoscersi.
Non è facile, perché non si vedono da anni e, diciamocelo, le relazioni fraterne sono già complicate di per sé. Figuriamoci quando uno dei due è affetto da autismo, ha sogni grandi quanto il mondo e un carattere altrettanto esplosivo.
Eppure, il film non cade mai nella trappola del pietismo o del dramma forzato.
Anzi, è proprio questa la sua forza: riesce ad alternare momenti commoventi a scene piene di ironia, leggerezza e dolcezza.
Non c’è nessun eroe da salvare, nessun messaggio morale imposto.
C’è solo la vita, nella sua versione più autentica.
E Omar non è solo “un ragazzo autistico”: è un uomo che vuole partecipare a un talent, avere una fidanzata, dei figli, una carriera.
In altre parole, vuole semplicemente vivere.
Irene, invece, è costretta a confrontarsi con le proprie paure, frustrazioni, ma anche con l’enorme potenziale emotivo che riscopre nel rapporto col fratello.

Quando la regia fa la differenza

Greta Scarano, nota fino a ieri per ruoli intensi in serie di successo come Suburra e Romanzo Criminale, dimostra in questa sua prima regia un talento naturale nel raccontare le emozioni.
Lo fa con grazia, con uno stile che sa essere diretto e profondo, ma mai pesante.
Il film è scritto con Sofia Assirelli e Tieta Madia e funziona perché è costruito su un equilibrio preciso: da una parte il racconto individuale, dall’altra quello familiare. Da un lato la disabilità, dall’altro il desiderio di essere visti.
E a proposito di essere visti, è proprio quello che Irene dice tra le righe durante tutto il film: guardatemi, ascoltatemi, anche io esisto.
Un bisogno che in molti – soprattutto chi vive il ruolo di “sibling” – sentiranno proprio come una fitta allo stomaco.

I siblings: una palestra emotiva

Torniamo a loro, i siblings. Vale la pena soffermarsi.
Essere fratello o sorella di una persona con disabilità non è una condanna, certo, ma è un’esperienza che lascia il segno.
A volte positivo, a volte meno.
Il legame fraterno è unico, spesso il più lungo della nostra vita, e quando si incrocia con la disabilità, diventa un terreno di apprendimento, ma anche di rinunce, conflitti, crescita accelerata.
Gli esperti parlano di mancanza di riconoscimento, di ruoli familiari ribaltati, di difficoltà emotive sottovalutate.
Ecco perché film come La vita da grandi sono importanti: mettono un faro su una realtà spesso ignorata, creano spazi di riflessione, di confronto, e magari aprono la strada a nuovi modi di supportare questi “fratelli nell’ombra”.

La vera rivoluzione: normalizzare la diversità

Il messaggio del film è chiaro e potente: la disabilità non definisce una persona.
È solo una parte di un insieme complesso, sfaccettato, umano.
Omar è limitato dall’autismo, sì, ma è anche un artista, un sognatore, un fratello.
Irene è una caregiver, ma anche una donna con sogni, limiti, desideri.
E forse è proprio questo il cuore del film: l’idea che, per vivere una “vita da grandi”, non serva essere perfetti o “normali” secondo gli standard.
Serve ascolto, empatia, coraggio. Serve saper stare insieme, riconoscersi.
Servono legami veri, non per forza facili.

Un successo che parte dal basso

Il caso de La vita da grandi è anche un perfetto esempio di come le storie di oggi non nascano più solo nei salotti degli sceneggiatori, ma sul web, nei video realizzati con uno smartphone, nei racconti sinceri di chi condivide la propria vita.
I Terconauti, con la loro schiettezza e il loro umorismo, sono riusciti a toccare corde profonde in migliaia di persone.
E il fatto che la loro storia sia diventata un film dice molto su come stia cambiando il nostro modo di narrare (e consumare) il reale.
Non è più solo la tv o il cinema a dettare l’agenda delle emozioni: sono le storie autentiche, quelle capaci di toccare il cuore e la mente insieme.

Perché dovresti vedere La vita da grandi

Perché è un film che commuove e fa ridere, racconta una storia vera, e lo fa senza filtri né retorica, ti farà pensare a tuo fratello, tua sorella, ai tuoi genitori, è una carezza sulla pelle e una domanda nel cuore.
Ma soprattutto, perché ti aiuterà a vedere – davvero – chi troppo spesso è rimasto invisibile.
E chissà, magari uscendo dalla sala, ti verrà voglia di abbracciare più forte chi ami.
O semplicemente, di ascoltarlo meglio.

Giulia Gaioni

Volontaria Altravoce

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