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Diversità cercata o diversità imposta?

Secondo la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, gli uomini sono tutti uguali. Questo significa che hanno tutti gli stessi diritti: alla vita, alla salute, al rispetto. Ma anche alla libertà di realizzarsi secondo i loro desideri, il diritto di esprimere le loro opinioni, di scegliere la loro religione. Non significa però assomigliarsi, pensare, parlare, vestirsi, comportarsi tutti nello stesso modo. La diversità è uno dei valori fondamentali dell’umanità.

Nonostante si viva in un mondo sempre più aperto dove le distanze sono sempre più corte, le differenze continuano a essere motivo di conflitto e discriminazione.

Diversità Nel Pensiero Comune

Generalmente riguardo alla diversità ci si trova davanti a un pensiero ambiguo. Da un lato essa è esaltata e considerata sinonimo di unicità, espressione della propria individualità. Dall’altro crea pregiudizi, paure generalmente infondate, imbarazzo, tensione.

Per quanto riguarda la comprensione e lo studio delle diversità culturali, dei costumi e dei tipi umani, notevoli passi avanti sono stati fatti dall’antropologia. Le diversità prodotte da deficit organici-funzionali e psichici-mentali non solo limitano la comunicazione ma compromettono la qualità umana dell’identificazione personale, le relazioni sociali. Sono evidentemente “diversità” di differente tipo che la tradizionale antropologia non ha affrontato.

Vi sono quindi varie tipologie di diversità e altrettanti modi per approcciarsi: alcune vanno contrastate e rimosse, altre accettate limitandone gli effetti discriminanti, altre ancora custodite e sviluppate.

I Limiti Della Società

Al fine di elaborare una teoria della qualità umana che includa le differenze è necessario considerare la compromissione dei deficit organici e psichici.

Manca una adeguata antropologia teorica che coniughi la comprensione antropologica alla pura descrizione medica della diversità. Il rischio è quello della consolidazione di un approccio scorretto alla disabilità. Un approccio esclusivamente clinico e giuridico acquista il valore di protocollo etico-sociale.

La nostra strutturazione culturale e sociale o le figure significative, indicano e in qualche modo impongono chi bisogna essere, come ci si deve configurare, definiscono chi si è. L’identità diventa in questa linea il risultato di un’assimilazione, fondamentalmente unidirezionale e passiva, di contenuti definitori provenienti dall’esterno. La nostra società premia una identità autoreferenziale e ogni impossibilità a crearla è visto come fallimento.

Essere diversi rispetto alla “generalità” crea l’eccezione, la stranezza e finanche l’estraneità. e qualità invece ritenute “diverse” ma “positive” possono suscitare ammirazione ed essere esaltate. Se la diversità è considerata come “negativa”, si crea un sentimento di disagio nei soggetti.

La differenza viene vista come un ostacolo irremovibile alla prossimità. Non si tenta di raggiungere l’altro, si evita la comunicazione personale. Si pensa che, se non è possibile eliminare la diversità, lo sforzo del contatto è inutile.

L’Incontro Con La Diversità

Nei casi di disabilità fisica o mentale, che come detto può compromettere comunicazioni e relazioni, la paura e i pregiudizi rendono difficile pensare alla persona con disabilità come una “personalità”, come un “individuo”. Questa difficoltà è atavica, il che significa che è radicata nella cultura che vede, nel rapporto con la malattia che affligge un essere umano, un profondo e complesso disagio. Il senso di doloroso coinvolgimento che questa esperienza produce, tende ad essere respinto. Come viene respinto? Accentuando la nostra differenza nei suoi confronti, evitando la richiesta più elementare che l’incontro con l’altro richiede: la risposta.

La risposta necessita solo di manifestare la nostra intenzione nei confronti dell’altro, la nostra presentazione. Proprio come faremmo con qualsiasi interlocutore che riteniamo in grado di rendersi presente e di interagire con il mondo. Il confronto costa fatica, anche per questo lo eludiamo.

Ma anche la maniacale ossessione del setting e dell’approccio terapeutico e specialistico fanno i loro danni. Mettere in atto pratiche metodiche rassicuranti spesso rassicura l’operatore dalla sua sensazione di impotenza dinnanzi a gravi disabilità, pensando “a tutto c’è rimedio”. Ed ecco che si arriva ad una eccessiva scomposizione dell’altro in sintomi, patologie, problemi, bisogni e diritti. Non errato, anzi necessario per comprendere le condizioni dell’altro, ma dannoso nel momento in cui diventa un modo per allontanare il confronto con la sua identità personale.

Altro comportamento dannoso è cadere nell’eccesso di compassione e affettuosità che, mediante metodi opposti, serve sempre ad evitare il confronto con un “altro” dotato di personalità.

L’Uso Retorico Della Diversità

Per evitare il confronto con una differente personalità, seppur con buone intenzioni, spesso si cade anche in discorsi retorici.

Si fa leva su un astratto egualitarismo dell’integrazione, portando a sostegno della tesi le potenzialità produttive di un soggetto con disabilità, o la sua attitudine positiva verso il mondo. Trasformare in modo retorico ha il fine di omologare, di ridurre quella che percepiamo come diversità trovando il metodo più semplice per ignorarla. A questo punto non può che generarsi indifferenza nei confronti di ricercare qualità realmente riconoscibili, integrazioni effettivamente praticabili e reciprocità all’aiuto.

Rimuovere e neutralizzare una differenza, non è quindi lo stesso di ridurre la sua polarizzazione negativa. La differenza non riconosciuta, aggrava solamente la condizione di disabilità. E l’uso sociale della disabilità in termini morali ci fa virare rischiosamente verso la distrazione dal reale impegno etico nei confronti della persona stessa.

Tu non sei come me, tu sei diverso

Ma non sentirti perso

Anch’io sono diverso, siamo in due

Se metto le mani con le tue

Certe cose so fare io, e altre tu

E insieme sappiamo fare anche di più

Tu non sei come me, son fortunato

Davvero ti son grato

Perché non siamo uguali

Vuol dire che tutt’e due siamo speciali.

(Bruno Tognolini)

Giada Franzoni

Guarisce dalla leucemia anche grazie alla musica

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