Mondo Abilità

Il Blog di Altravoce Onlus

Film E Disabilità: The Elephant Man, l’Uomo Elefante

Per la maggior parte delle persone l’incontro con la disabilità è episodico o molto circoscritto nel tempo e nello spazio. Spesso l’incontro non avviene e non per manchino possibilità di contatto, bensì per una serie di fattori umani ed emotivi. C’è molta confusione riguardo a quali sarebbero i modi migliori per rapportarsi ad una persona con disabilità, tante le reazioni. Disagio, timidezza, paura di mancare di rispetto. E, per non “rischiare” si mantengono le distanze. E questo possiamo riassumerlo con una frase: “La gente ha paura di quello che non riesce a capire“. Questa è la frase emblema del film di cui parleremo oggi, “The Elephant Man”. Ed è anche la frase che spiega il motivo della tutt’ora esistente paura dinnanzi ad una persona con disabilità. Non capiamo (o non accettiamo) che, per quanto si possa essere fisicamente/mentalmente differenti, siamo tutti uomini. Esseri umani con pregi, difetti, sentimenti, desideri e voglia di vivere appieno.

Il Film

The Elephant Man è uno dei capolavori di David Lynch. Il film uscì in anteprima mondiale il 3 ottobre 1980 a New York con attori di spicco quali Anthony HopkinsJohn Hurt e Hannah Gordon. Arrivò in Italia il 6 gugno 1981. Si tratta di un adattamento dei libri “The Elephant Man and Other Reminiscences” del dottor Frederick Treves (chirurgo inglese) e “The Elephant Man: A Study in Human Dignity” di Ashley Montagu, antropologo inglese.

L’ambientazione è la Londra del XIX secolo. La storia è quella di un ragazzo (John Hurt) di nome Joseph Merrick. A causa della sua rara malattia, il corpo del giovane è quasi totalmente deformato. Ma è la sua testa a presentare dei rigonfiamenti molto evidenti. E proprio per questo motivo è chiamato da tutti “Uomo Elefante”. Merrick lavora per Bytes, un disumano gestore di uno spettacolo di strada che lo costringe a esibirsi come fenomeno da baraccone. Quando non si eibisce, la sua testa è coperta da un sacco. Accorre in suo aiuto il dottor Treves (Anthony Hopkins), il quale decide di prendersi cura di lui sottraendolo al circo. La vita di Joseph cambia: non solo riceve cure ma resterà nell’ospedale stabilmente. Inizia a parlare, recitare, scrivere. Merrick desta l’interesse dalla regina, di attrici, di moltissimi personaggi illustri. Inizia a riscattare la sua persona, dimostrando che oltre alla propria immagine, c’è molto di più.

La Vera Storia

Egli nacque il 5 agosto 1862 in una modesta famiglia. Benché alla nascita non fossero visibili i segni della malattia, essa non tardò a manifestarsi: all’età di 5 anni solo il braccio sinistro rimase sano. A 11 anni, con la morte della madre e il secondo matrimonio del padre, ebbe modo di provare sulla propria pelle la cattiveria e l’incapacità di comprendere la disabilità. Cacciato di casa, lavorò come fenomeno da baraccone con il soprannome di “The Elephant Man“, l’uomo elefante appunto. Nel 1886 vennero vietati gli “spettacoli” che usavano persone con disabilità come macabra attrazione. Abituato com’era a questa vita, decise di trasferirsi in Belgio per trovare un impiego uguale. Lo trovò ma venne sfruttato, maltrattato e poi lasciato indietro. Tornato in patria conobbe un dottore di nome Frederick Treves. Quest’ultimo si accorse che Merrick presentava una infezione bronchiale e decise di ricoverarlo presso il Royal London Hospital. Qui ottenne un posto stabile, dove poter finlmente ricevere le cure adeguate e necessarie, da parte di persone sensibili.

A sinistra l’attore nel film. A destra il vero Merrick

Una volta sperimentata la bontà, ebbe modo ri far fiorire la sua vita: iniziò a scrivere poesia e prosa. La sua storia arrivò anche lle orecchie della regina Vittoria che lo prese a cuore finanziando anche gli studi per la malattia.

Io sono felice ogni ora del giorno,(…). Anche se sapessi che morirei domani. La mia vita è bella, perché so di essere amato… Io sono fortunato!”.

Morì all’età di 27 anni il 10 aprile 1890 mentre dormiva: quella sera decise di dormire in posizione orizontale senza il supporto dei cuscini. Erano proprio quelli che sostenevano il peso della sua testa permettendogli di respirare la notte.

La patologia di cui soffrì Merrick è estremamente rara. Solo nel 1979 Michael Cohen identificò i sintomi che, nel 1983, furono chiamati da Rudolf Wiedemann sindrome di Proteo

La Morale Del Film

In quanto ispirato a una storia vera, nel film per ragioni cinematografiche sono presenti alcune inesattezze. Merrick, ad esempio, non venne rapito ma decise lui stesso di andare in Belgio. Il dottore non lo portò con sé durante uno spettacolo per toglierlo agli abusi subiti, ma lo conobbe fortuitamente. Inoltre non fu il dottore ad insegnare al nostro protagonista a parlare. La sua bocca era danneggiata a causa della malattia. Parlò spontaneamente solo dopo numerosi interventi nell’ospedale cui era in cura.

The elephant man” non è un racconto strappalacrime che mira al pietismo, anzi tutto il contrario. Grazie allo stile essenziale e alle frasi dirette e esincere, il regista trasmette una cosa importante.

Non sono un elefante! Io non sono un animale! Sono un essere umano!

Andando oltre l’apparenza e l’aspetto fisico, si può cogliere l’essenza reale delle persone. Non è il “diverso” ad essere cattivo, ma la società che, non sapendo come accogliere quest’ultimo,  lo emargina per paura.

Mette in scena dolore e speranza. Se da una parte infatti abbiamo la popolazione che deride fino a deumanizzare il diverso, fino a privarlo della sua dignità, dall’altra abbiamo il Bene. Abbiamo un chirurgo, medico per professione e convinzione che, privo di pregiudizi, riesce ad andare oltre le apparenze. Senza paura, senza diffidenza. E’ un film sulla dignità e il dolore, sull’umanità che è presente in tutti. Indipendentemente dalla disabilità e dalla gravità di essa.

Il progetto MI-SOL-RE# Manteniamo Solide Relazioni è stato approvato e finanziato dal Ministero Del Lavoro E Delle Politiche Sociali attraverso Regione Lombardia

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