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L'odio della musica - in evidenza

L’odio della musica

Stai cercando di capirne di più riguardo al libro di Pascal Quignard, L’odio della musica? Forse prima di acquistarlo, ti interesserà sapere che, oltre al libro originale, c’è anche un interessante approfondimento edito dall’Università degli Studi di Cassino, dal Dipartimento di Lettere e Filosofia del 2014.

Indice

L’odio della musica era nell’aria 

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L’inizio delle ostilità nei confronti della musica – a livello letterario – inizierebbe intorno all’Ottocento con von Kleist, Dumas e des Forêt. sono targate 1996, con il saggio Haine de la musique di Quignard. E il sentimento ostile verso la più nobile delle arti viene “rispolverato” nel nuovo millennio, nel 2011, sulla rivista “Reserches & Travaux”, il cui n. 78 titolava appunto “La haine de la musique” – e nel 2012, su “Littératures” n. 66, “La Melaphobie littéraire”.

Da dove ha inizio la riflessione Contro la musica

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Lo scrittore e saggista francese, nell’elaborazione de “L’odio della musica” parte dal concetto dell’imitazione, ad Altravoce molto affine, poiché una delle basi del metodo Esagramma, che da quasi 40 anni è strumento di inclusione per bambini, ragazzi e adulti con disabilità mentale.

Secondo Quignard, la musica fa risuonare l’aspetto imitativo per il fatto che <<agisce sugli ascoltatori in una sorta di possessione (Magrelli)>> e dunque l’arte delle arti costituirebbe quel residuo bestiale, nascosto nella storia dell’uomo, che ritorna a essere istintivo quando la ascolta.

La musica, contagiosa come lo sbadiglio

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Dall’800 inizia dunque il meloscetticismo, i cui temi trattati riguardano:

  • il fatto che la musica non rappresenti qualcosa di preciso come invece fanno pittura, scultura e letteratura. Dunque è considerata non più “l’arte delle arti” come dicevamo di Imberty settimana scorsa alla base della Teoria della Risonanza di Licia Sbattella
  • la correlazione con la sfera dell’indeterminato e dell’infinito
  • gli effetti psicologici che esercita sul singolo e sulla massa

Ben rappresentava questo pensiero il Kant:

A causa della proprietà hanno gli strumenti di estendere la loro azione al vicinato, si insinua e va a turbare la libertà di quelli che non partecipano all’intrattenimento.

Per poi arrivare a Tolstoj che la definisce terribile, temibile e nefasta, proprio perché è contagiosa come <<lo sbadiglio e il riso>>.

Odiare la musica: è possibile?

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Susanna pasticci, nel saggio “Odio della Musica”, riconosce quanto questa possa <<esercitare un peso dirompente sulla sfera dell’affettività>>, in linea con tanti altri teorici della musica e con gli effetti concreti che quest’arte ha anche nei confronti di chi ha una grave disabilità mentale (autismo, disabilità intellettiva, sindrome genetica).

Da dove arriva questo sentimento?

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L’analisi della Pasticci, ci porta a valutare la genesi dell’odio verso la musica secondo i dettami di Fromm. Esiste l’odio “endogeno”, quando da ascoltatore ti ritrovi a dover fare i conti con un’emotività che era ben nascosta dentro di te e che invece la musica tira fuori. E poi c’è quello “reattivo” che <<nasce in risposta a una precisa minaccia sonora>> suscitando in noi un senso di frustrazione.

La musica, ancora una volta, viene riconosciuto come mezzo e non come fine. Un trigger (per dirla in psicologhese), che fa scattare qualcosa di indomabile.

Il modo più incisivo per ascoltare sé stessi

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L'odio della musica - Levi Strauss

<<L’esperienza d’ascolto è il modo più incisivo per ascoltare sé stessi>>. Secondo Moore, l’immagine che abbiamo di noi stessi è legata alla musica che ascoltiamo, ai valori e ai significati che le attribuiamo (“le attribuzioni di senso” della Langer), che non sono univoci e oggettivamente riconoscibili da tutti per la stessa opera (ovvero, il bambino disabile non “diventa felice” se ascolta una canzoncina in maggiore).

Cochrane nel 2010 riprende il concetto molto bene: quando ascolti Jingle Bells la tua reazione non è data dalla qualità strutturale della musica, quanto piuttosto dal tuo vissuto e dai ricordi che leghi a quella musica.

E’ per questo che la MusicoTerapia Orchestrale (il metodo Esagramma) è su un altro livello, incomparabile nei confronti della Musicoterapia umanistica (o comunque “non-orchestrale”). Quest’ultima fa un buco nell’acqua quando scade nel dare il “sonaglietto al disabile”: <<non ci sono comportamenti emotivi rintracciabili nel pezzo suonato (Pasticci)>> e come confermano Juslin e Sloboda – e i decenni di psicologia sperimentale per capire se l’effetto Mozart esista – serve invece una struttura ricca e complessa, come quella sinfonico-orchestrale professionale (repertorio, strumenti, modi di suonare) per la mente umana, anche quella ferita dalla disabilità.

Se messa a disposizione correttamente nei confronti della persona fragile – indipendentemente dalla gravità della sua condizione – permette una scoperta delle abilità residue e potenziali e un reinvestimento delle competenze acquisite, dal Gruppo Orchestra del Triennio di Musica Inclusiva, alla quotidianità con i genitori.

Odiare la musica: tiriamo le somme

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Ti lascio approfondire direttamente l’appassionante critica de “L’odio della musica” di Quignard, tramite il saggio “Odio della musica”.

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Intanto chiediamoci: è davvero possibile odiare la musica?

Infondo sì.

Ed è un bene. Perché, come sostengono gli autori della critica meloscettica, l’odio non è altro che l’altra faccia dell’amore.

Fabio Dalceri

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