Tornare a vivere
“Devo chiedere scusa a mio figlio per le volte che ho
perso la pazienza, per quando non ho avuto fiducia in lui. Per quando
credevo di non farcela. In fondo chi sono io. Sono uno strumento. Sono
la sua confidente. Colei che deve rassicurarlo quando ha paura di ciò
che non conosce. Colei che gli insegna le cose quotidiane. Sii felice
figlio mio. Ci sono affinché le tue paure scompaiono o diminuiscono
così da prendere la tua strada per la felicità e non la mia. La tua
mamma stanca”.
Questa settimana prendiamo spunto da questo sfogo di una mamma condiviso sui social.
Pazienza. Come sapete parlo da figlio, ma credo che per un genitore essere paziente sia tanto fondamentale, quanto complesso, a maggior ragione se si ha a che fare con un bambino con disabilità. Mi metto nei panni di questa mamma, che sicuramente, con tanto impegno, determinazione e fatica, dedica tutte le sue giornate per cercare di aiutare suo figlio a migliorare, magari ad essere più autonomo e a raggiungere dei piccoli obiettivi e quando vede che tutti i suoi sforzi sembrano non aver sortito alcun effetto, perde la pazienza. Sono convinto che sia una reazione che possa benissimo capitare: subentra lo scoraggiamento, quella sensazione di aver fallito come mamma e della terribile sensazione di essere incapace nel sostenere quel figlio, che invece ne avrebbe tanto bisogno, molto di più rispetto a qualsiasi altro bambino.
Nello sfogo di questa madre leggo un grande senso di colpa. Sì, per aver perso la pazienza. Ma come dicevo prima, se leggiamo le parole più in profondità per non riuscire a essere lo strumento adatto di cui il figlio avrebbe bisogno.
Mi piace molto questo paragone di strumento. E’ necessario però fare attenzione. Senza alcun dubbio sono necessari i tre ruoli di genitore rassicurante, confidente e insegnante, ma con un figlio disabile si corre un rischio secondo me molto grosso: quello di togliersi una parte della propria personalità, dei propri desideri e quindi della propria vita.
Si cade così nella possibilità di annientarsi e pur senza volerlo di sostituirsi completamente al figlio, di vivere in qualche modo al posto suo.
Certamente è un atteggiamento che può venire in modo del tutto naturale: vedi la creatura che hai messo al mondo in difficoltà e in qualche modo, fai di tutto perché possa vivere nel miglior modo possibile, ma facendo così si incorre in due pericoli:
- non si permette al proprio figlio di vivere la sua vita: anche una persona con disabilità ha il diritto di fare esperienze e provare a realizzarsi. È vero, il rischio che non ce la faccia è reale, ma ecco che il genitore è lì a sostenerlo. E magari non solo il genitore, ma anche insegnanti, educatori e persone sensibili che accompagnano il proprio figlio. Certo, forse non arriverà mai al 100 a cui tutti siamo abituati (ovvero chi non ha una disabilità), ma potrà arrivare al suo 100! Volete mettere la soddisfazione di arrivare ai suoi obiettivi, anche piccoli, ma con le proprie forze e capacità?
- Avere un figlio disabile non è certamente una passeggiata, ma è fondamentale continuare a vivere la propria vita, coltivare i propri sogni. Se vince la frustrazione, l’annientamento anche il figlio ne risente, se invece un genitore è sereno e realizzato, lo stesso figlio sta bene, perché attorno a sé c’è un clima di armonia. Ovviamente qualcuno potrebbe dirmi che ci sono casi in cui è veramente necessario assistere costantemente il proprio figlio e quindi questo genitore dove potrebbe trovare del tempo per sé? Siamo umani, so bene che esistono super mamme e super papà, ma non è un peccato riconoscere di aver bisogno di aiuto a volte.
Mi viene in mente la storiella tratta dal “Profeta” di Gibran:
“I vostri figli non sono i vostri figli (…). Vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché stiano con voi, tuttavia non vi appartengono. Voi potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri, poiché essi hanno i propri pensieri. Potete dare alloggio ai loro corpi, ma non alle loro anime (…).
Voi potete sforzarvi di essere come loro, ma non cercate di renderli simili a voi.
Poiché la vita non va all’indietro e non si trattiene sullo ieri. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli vengono proiettati in avanti, come frecce viventi. L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito ed Egli vi tende con la Sua potenza in modo che le sue frecce vadano rapide e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia dalla mano dell’Arciere;
Poiché com’Egli ama le frecce che volano, così ama pure l’arco che è stabile”.
Fa paura, soprattutto quando si ha che fare con la disabilità, che rende il proprio figlio più fragile, ma è giusto che anche lui a suo modo, secondo le proprie possibilità, possa essere lanciato come la freccia e vivere la sua vita, così come i genitori hanno il diritto di continuare a vivere la propria.
Luca Dalla Palma