“Combattere” la disabilità?
Non è facile convivere con una disabilità, sia essa fisica o mentale. È difficile sia per chi la vive sulla propria pelle, sia per i famigliari, insegnanti, educatori, che hanno a che fare con una persona disabile.
Percepisco molta rabbia, certo comprendo i motivi e li rispetto, per un genitore spesso dev’essere molto faticoso e frustrante non poter far nulla per aiutare il proprio figlio in difficoltà.
Questa impotenza provoca una reazione negativa. Sento spesso un’espressione che mi fa accapponare la pelle: “Dobbiamo combattere la disabilità”. Così la vita diventa un vero e proprio incubo, perché si lotta contro un “nemico” impari. Il mio handicap volente o nolente sarà sempre parte di me, quindi è inutile arrabbiarsi, affrontare la propria esistenza solo lamentandosi o sentendosi sfortunati.
Quante volte mi sento apostrofare come “poverino” o addirittura sento dire che la mia famiglia è “poverina” con una situazione come la mia in casa. La cosa comica è che lo dicono sotto voce pensando che nessuno se ne accorga, ma io dico sempre: “Ricordatevi, sarò anche in carrozzina, ma ci sento benissimo!”.
Il segreto è di cambiare prospettiva, perché come ho già detto, essere perennemente arrabbiati, vedere il mondo come un continuo conflitto, sentirsi bersaglio di un’ingiustizia che non meritiamo, per certi versi potrà anche sembrare vero, ma di certo, non ci libera dalle nostre difficoltà, anzi al contrario, le fa diventare più pesanti.
L’obiettivo invece è quello di smetterla di considerare la disabilità come un nemico da sconfiggere ad ogni costo.
Prendo me come esempio: mi chiamo Luca, ho 35 anni, sono laureato, scrivo romanzi, amo stare in compagnia, sono una buona forchetta… ed è vero sono anche disabile, ma la mia disabilità è semplicemente una caratteristica tra le tante, forse è più evidente delle altre, ma è comunque una sola.
Anzi, mi spingo oltre. La disabilità è forse la mia caratteristica più importante, perché io sono la persona di oggi anche, oserei dire, grazie alla mia disabilità. Non è poi così assurdo immaginare, che se io avessi camminato, parlato chiaramente, se fossi stato autonomo, avrei compiuto scelte e intrapreso strade diverse. Attenzione, ho detto diverse, non migliori o peggiori.
Quindi il compito di tutti, persone con disabilità, famigliari, insegnati, è smettere di pensare di essere sfortunati, di soffermarsi sul negativo o sulle difficoltà da affrontare, ma accettare la situazione e lavorare insieme per cercare tutto ciò che è possibile realizzare, nella normalità in cui ci si trova a vivere. Così facendo la disabilità non diventa un ostacolo, ma una vera e propria sfida nel guardare oltre e nel mettersi in gioco. Diceva Emerson in uno dei suoi trattati:
“È proprio di fronte alle difficoltà che l’uomo trova la forza dentro di sé”.
Allora sì, è necessario continuare a combattere, ma dev’essere un buon combattimento, che porti al bene, a qualcosa di positivo ma non deve essere riferito alla disabilità nello specifico. Mi vengono in mente gli insegnanti: molti lavorano bene, altri – però – vedono il ragazzino con disabilità come un ostacolo, un disturbo per il resto della classe, un rallentamento nel programma da svolgere. E se invece vedessimo il rovescio della medaglia? Se il ragazzino con handicap, fosse una risorsa per i compagni, nel comprendere che non tutti siamo in grado di affrontare le cose allo stesso modo? A volte è sufficiente solo un piccolo aiuto per farcela insieme. Non è solo una questione di sensibilizzazione, ma anche di esempio: se il mio compagno, che ha più difficoltà di me alla fine riesce a raggiungere degli obiettivi, allora anche io sono stimolato ad impegnarmi di più.
Concludendo, ribadisco: dobbiamo tutti combattere, non contro la disabilità, ma per trovare il positivo che c’è in ciascuno di noi e trovare il modo per sfruttarlo al meglio.
Come mi capita spesso di sottolineare, questo discorso non è valido soltanto nell’ambito della disabilità. Ogni essere umano deve fare i conti con i propri limiti ed affrontarli, ma non per questo è condannato ad un’esistenza infelice.
Luca Dalla Palma