Uno strumento per uscire dall’inganno del tutto e subito
Al giorno d’oggi sarebbe ipocrita dire che noi non viviamo per avere tutto e subito, anche solo grazie alla tecnologia.
Ci definiscono “Millennials” e idealmente rappresentiamo la generazione di persone dagli anni 80 in poi, che ha vissuto sulla propria pelle, in prima persona, lo sviluppo che la tecnologia ha portato negli ultimi 20/30 anni, fino ad arrivare alla nostra quotidianità. Una delle più grandi trovate, lo conosciamo bene è l’invenzione del cellulare, avvenuta nel 1973 grazie ad una geniale trovata di Martin Cooper – che lavorava per Motorola – azienda che dopo 10 anni ha commercializzato il primo dispositivo portatile, al “modico” costo di 4.000 dollari. Vedendo il design e i costi di quel dispositivo attualmente può far sorridere, perché da quando è arrivato Jobs e il suo iPhone, tutti ormai abbiamo un mini computer in tasca, pagato in media un decimo di quanto Motorola chiedeva, ma anche molto meno.
Uno dei problemi più grandi che ci ritroviamo ad affrontare oggi noi “Millennials” è l’inganno del tutto e subito.
Noi vogliamo tutto subito. Perché?
I want it all, and I want it now.
Voglio tutto – e lo voglio ora.
dicevano i Queen. Ma il problema di cui parlo è esattamente questo: noi vogliamo tutto e subito perché siamo abituati a usare h24 un apparecchio – lo smartphone – che ci dà tutto e subito. Problema 1.
Problema 2, con tutta questa tecnologia non abbiamo fatto altro che allontanarci l’uno dall’altro. E non vale solo per i “Millennials”. Questo accade quando si è a tavola con la famiglia e si controlla Facebook tutto il tempo senza conversare, o magari quando incontriamo un amico che non vedevamo da tanto tempo – e che grazie ai social abbiamo ritrovato – e invece di parlare di ciò che ci siamo persi l’uno dell’altro durante il periodo di non frequentazione, si pensa inizialmente a fare il selfie perfetto, per poi guardare ogni trenta secondi quanti “like” ha raggiunto il nostro post.
Ogni volta che mandiamo e riceviamo un messaggio, o che ci viene rilasciato un “like”, nel nostro cervello viene rilasciata dopamina, che ci fa provare quella bella sensazione – momentanea – e per un attimo ci estraniamo dai nostri problemi. Questo palliativo però rischia di diventare un problema quando la nostra vita viene consapevolmente votata a raggiungere sempre e subito quella bella sensazione, senza più curarci di come sia fatta la vita reale.
La tecnologia da smartphone: una dipendenza tossica
Non voglio assolutamente demonizzare la tecnologia – sarebbe alquanto ipocrita, visto che vivo in mezzo a dispositivi di ogni genere che utilizzo tutti i giorni – ma per citare parole abbastanza dure del saggista anglo-americano Simon Sinek:
“Sta diventando una dipendenza, come alcool, sigarette e scommesse”.
Questo è un commento duro da digerire, perché tocca praticamente tutti noi, suonando quasi come un’accusa. Sinek però specifica che non c’è nulla di male nella tecnologia a dosi ragionevoli, se tenuta lontano da riunioni di lavoro o momenti di convivialità, in cui è importante creare relazione tra le persone. Ma quel è la “dose ragionevole” (notare il termine… “dose”)? Bella domanda…
Inoltre, l’abuso di smartphone – secondo Sinek e studi annessi – causerebbe una maggiore incapacità di gestione delle situazioni stressanti. Su internet infatti, se voglio una cosa la compro e il giorno dopo mi arriva, se voglio vedere un film apro una piattaforma e ho la pellicola in risoluzione massima, senza problemi da risolvere aspettando del tempo, e senza fare fatica: ce ne stiamo sul nostro divano. Quando arrivano i problemi, come una difficoltà di adattamento a situazioni sempre in divenire nella nostra giornata lavorativa, un post su Instagram può rilasciare la dopamina adatta a superare lo stress, ma solo momentaneamente: la volta dopo ci ritroviamo da capo, rischiamo di rovinarci la vita per la paura di fallire che purtroppo avvertiamo quando ci misuriamo col mondo reale.
Sullo smartphone e sui social tutto è perfetto, se si esce di casa no.
Per questo motivo dovremmo bilanciare meglio il tempo che trascorriamo con determinati dispositivi, dovremmo trovare qualcosa per cui vivere in alternativa alla super tecnologia: ma come?
Può aiutare la musica?
Sì.
La musica è il mezzo che in assoluto può funzionare con problemi di questo tipo.
Quando si inizia a suonare uno strumento, c’è ovviamente l’entusiasmo di iniziare, ma anche tantissime difficoltà, date dalla (per alcuni) noiosa ma indispensabile tecnica che bisogna studiare per saper suonare – e che, parallelamente, mantiene il cervello “sull’attenti”, portandoci a sopportare la frustrazione del non sentirsi subito capace.
Tanti smettono subito di suonare per questo motivo, mascherandolo da “eh ma tanto non mi piaceva così tanto”: insomma, la volpe con l’uva. Ma sia chiaro, non è la musica il problema, ma il fatto che bisogna imparare nuovamente cosa significhi vivere nel mondo reale: metterci sudore, studio, passione, gioie e dolori.
La musica ci porta a scoprire di più noi stessi, il nostro IO più vero,
talvolta, anche qui, con piccoli feedback positivi ma con la differenza, rispetto allo smartphone/videogioco di turno, che la prospettiva noi stessi è più ampia, pressoché infinita: ci sentiamo musicisti e in quei momenti viviamo un’arte con tutto il nostro essere.
La musica per uscire dal tunnel
Pensiamoci, se si riesce a superare lo shock iniziale, nell’ora che ci prendiamo per suonare non sentiremmo il bisogno di telefono, pc, videogiochi o serie TV: una vera e propria cura “anti-droga” di una potenza incommensurabile. Anche perché,
imparata la tecnica, arrivano le prime melodie. E da lì le canzoni, le soddisfazioni, la dopamina.
Esatto, lei. Quella che ci entra in circolo con i “like” o con il pulsante “acquista subito” di Amazon. Ma in quel momento, mentre stai esprimendo te stesso nel meraviglioso mondo delle note, cosa importa del “tutto e subito” che ti dà il mondo virtuale della tecnologia? Lo smartphone diventerebbe così un passatempo o uno strumento, ma non una ragione di vita.
La musica è meritocratica.
A seconda del tempo e della passione che tu le dedichi, essa ti ricompensa nel modo che meriti, senza “rigonfiamenti” di approvazioni, date da sponsorizzazioni o ad ore spese a cercare la posa adatta per mostrare il profilo migliore.
Ovviamente anche io uso i social, forse anche più di ciò che dovrei, ma è importante rendersi conto quando questo sta diventando una dipendenza. Non bisogna assolutamente vergognarsi di ammetterlo, perché sarebbe un mentire a sé stessi. E soprattutto,
non sono solo i “Millennials” ad abusare della tecnologia.
Spesso anche persone che criticano i giovani perché “ai loro tempi non sarebbe successo” sono i primi a stare su Facebook svariate ore, dimenticandosi degli insegnamenti che loro stessi vorrebbero dare. La coerenza è importante, le dipendenze non hanno età – basti vedere la percentuale di anziani affetti da ludopatia, il 17% nel 2017 – e quindi è importante non sottovalutare il fenomeno.
Per concludere, ci sono tante cose parallele alla musica: lo sport, le passeggiate all’aperto, la mera socializzazione al di là dei messaggi sul telefono. Lo scopo è unico, gli strumenti per perseguirlo molteplici: basta alzarsi, spegnere lo schermo e accendere la mente verso il mondo e, segui il mio consiglio, inizia dalla musica.
M°Cristian Petenzi