Estetica dell’Arte e disabilità: la storia di Chiara
A volte certi tabù resistono nonostante il progresso tecnologico e sociale che stiamo vivendo nel XXI secolo. Uno di essi, che continua ancora a convincere un numero impressionante di persone è che l’estetica dell’arte non possa essere raggiungibile da chi vive con una disabilità. Si pensa che il bello sia accessibile soltanto da una ristretta élite, senza pensare che l’arte in sé è creata per l’essere umano, indipendentemente dalle capacità mentali o fisiche che si possiedono.
Quando si introduce poi l’argomento disabilità mentale si pensa ancor di meno che una persona fragile possa godersi appieno un’opera teatrale, o addirittura che possa vivere l’arte sulla propria pelle, come ad esempio facendo parte di un’Orchestra Sinfonica – come nel caso dei ragazzi e degli adulti che frequentano Altravoce – o salendo su un palco per una recita. Questo è l’errore più grande, perché
tutti al mondo hanno il diritto di bearsi nell’estetica dell’arte.
Nel mondo del teatro c’è purtroppo parecchia discriminazione per gli attori disabili: essendo molto influente il lato visivo, chi si occupa della produzione tende a preferire un corpo scultoreo o esotico (o comunque senza apparenti “imperfezioni”) a uno segnato dalla malattia, seguendo il copione o la tradizione di un determinato spettacolo.
C’è chi però questi tabù prova ad abbatterli, andando contro la monotonia e uscendo dagli schemi prestabiliti di un mondo ancora troppo chiuso.
Chiara Bersani: l’espressività del corpo disabile
Chiara Bersani è una ragazza di 34 anni affetta da osteogenesi imperfetta, una serie di malattie genetiche che causano gravissimi problemi alle ossa; Chiara ha dedicato la propria vita alla sua grande passione, il teatro, e inizia a recitare già alle superiori, rimanendo a bocca aperta davanti alla maestosità di questo mondo. Conseguita la maturità, inizia gli studi di psicologia a Parma, ma capisce subito che quella non è la sua strada: inizia quindi a frequentare i laboratori di teatro di Lenz Rifrazioni nella stessa città emiliana.
In questo contesto, a 22 anni, Chiara decide che vorrà rompere qualsiasi schema dando l’anima ma soprattutto il corpo all’estetica dell’arte. “Esiste una scuola di pensiero che sposa l’idea che un corpo disabile abbia una forza rappresentativa maggiore, più emotiva o comunque differente” riflette la donna, che però non vuole vivere in un mondo isolato:
vorrei che la disabilità a teatro diventasse la normalità, e che un attore disabile potesse interpretare anche Goldoni.
Un desiderio più che legittimo quello dell’attrice, che vuole far sì che il pubblico cominci a vedere il talento di chi sta rappresentando sul palco, esulando dal fatto che possa essere neurotipico o affetto da disabilità.
Per questo motivo ha preparato una “terapia d’urto” contro i pregiudizi: nel suo ultimo spettacolo, “Gentle Unicorn” (“unicorno gentile”) si punta tanto sulla fragilità di questa figura mitologica, sempre sfruttata come vittima sacrificale per i numerosi significati che gli sono stati attribuiti – e la particolarità è che la performance consiste in una lenta avanzata di Chiara verso il pubblico – con pause che possano mettere bene in mostra le sue forme corporee. Questa “provocazione” deriva appunto dalla visione del pubblico, sempre più concentrato sulla disabilità che sullo spettacolo.
“Come artista, volutamente scelgo di lavorare sul mio corpo disabile. Ma non vorrei mai che questo fosse l’unico modo possibile
si augura Chiara, che nel frattempo è impegnata in due importanti progetti da autrice, che debutteranno nel 2020: “Moby Dick” e “I canti delle balene”.
La musica che raggira la disabilità mentale
Mi permetto di aprire un’importante parentesi su quello di cui si occupa Altravoce. Come nel teatro, anche nella musica esistono tanti pregiudizi che è difficilissimo estirpare: quando si pensa ad un’importante disabilità mentale per esempio, tante persone storcono il naso di fronte alla nostra sicurezza nel dire “il ragazzo diventerà un musicista”.
E’ sicuramente comprensibile, ma si sottovaluta troppo spesso il potere di un percorso personalizzato – come quello che Altravoce propone – atto a scoprire ogni minima capacità, valorizzando ogni potenzialità e captando ogni minimo miglioramento, notificandolo con una sincera e pedagogicamente importantissima gioia. In questo modo, l’autostima aumenta – e le difficoltà che sembravano insormontabili cominciano a diminuire.
L’Everest che si pensava fosse impossibile da scalare diventa pian piano un K2, un Monte Bianco, per poi potenzialmente diventare una leggera collina da cui salire e scendere ogni volta che si vuole: la musica ha questo potere – ma è in generale l’arte che la possiede.
E’ fondamentale non precludere il bello a priori a qualcuno, perché potrebbero davvero stupire i risultati di un’educazione votata all’amore per l’estetica dell’arte.